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Francisco Sesto Novás 

Ministro del Potere Popolare per la Cultura della Repubblica Bolivariana del Venezuela

Il Pensare dal basso

Il Presidente Chávez ha affermato più volte, quasi fin dal primo momento in cui assunse il suo incarico: “Se vogliamo porre fine alla povertà, bisogna dare il potere ai poveri”. E, subito aggiunse, “il primo potere è la conoscenza”. Questa frase o, per meglio dire, questo concetto, ha contrassegnato la teoria e la pratica della rivoluzione in corso in Venezuela. Tutti coloro che, in un modo o nell’altro, lavorano nel governo bolivariano, hanno un mandato incrollabile. Dare il potere al popolo e trasferire questo potere al popolo ogni giorno di più, si sono trasformati in una vera linea strategica di tutte le istanze di governo. Nello stesso tempo, l’idea chiara che è la conoscenza il primo potere che possiamo trasferire, viene presentata dal Ministero del Potere Popolare per la Cultura come la pietra angolare della sua attività. Tutto dipende da questa idea. Questa idea la possiamo completare con una frase di Simón Bolívar che dice: “Ci hanno dominato più per motivi d’ignoranza che per motivi di potere”. E con un’altra frase di José Martí, il grande eroe di Cuba: “Essere colti per essere liberi”. Cioè: rimuovere l’ignoranza. Essere colti. Conoscere. Capire. Sapere. Avanzare col proprio sapere, per situarsi, per incanalare l’azione. Ciò ha a che vedere con la coscienza, con lo sviluppo che essa può raggiungere nella rivoluzione. Non è un caso che i tre lemmi istituzionali del Ministero per la Cultura lo affermino in modo chiaro.  Il primo di essi: “Il paese è cultura”, lo coniammo nel 2004, e con esso volevamo evidenziare una rottura radicale con la gestione culturale di élites, rottura che andava a segnare tutto il nostro processo di rifondazione istituzionale. Il secondo lemma: “Rivoluzione della coscienza”, nacque nel 2007 per puntualizzare che la conoscenza è libera e per far emergere, giustamente, la forza emancipatrice che la conoscenza della realtà porta con sé. E, infine: “Potere Culturale, Potere Popolare” che è il lemma attuale del Ministero e che insiste nell’idea di considerare la conoscenza come un potere del popolo, un vero potere, nella consapevolezza che il popolo è padrone di un sapere che è oppresso e che deve liberarsi da un sapere oppressore. Si vede già, dunque, che in qualche modo, i tre slogan costituiscono una unità, ognuno nella sua specificità. Perciò, con le frasi di Chávez, di Bolivar, di Martí e i nostri tre lemmi, presi come punti di riferimento, procediamo nella battaglia delle idee. Edifichiamo ogni giorno che passa, responsabili di una nuova realtà. Il mondo che ereditiamo non ci piace. Noi crediamo che è nostro obbligo morale trasformarlo. Ma andare ad approfondire la comprensione del mondo per trasformarlo e per liberarci non è così facile. Chiunque di noi, per suo conto, mediante la dedizione costante allo studio e all’esercizio del pensiero, può arrivare a sviluppare una strada di liberazione personale. Può trovare nell’esercizio solitario, o di gruppo in piccola scala, una grotta spirituale per abitarla con l’etica e trasformarla in un rifugio a prova di follie predatrici. La cosa difficile, la sfida per noi, è riuscire a raggiungere tale conoscenza nel collettivo. Perché Chávez parla di trasferire il potere della conoscenza al popolo, al popolo nella sua totalità, non a pochi, non ad alcuni specialisti, non ad alcuni eletti. E perché Martí quando parla di essere colti per essere liberi non si riferisce neanche ad individui ma a popoli, al popolo cubano, nel suo caso, in un momento storico di lotta per l’indipendenza. Ecco perché, con tali riferimenti, noi abbiamo chiaro che il compito è quello di pervenire alla conoscenza, alla comprensione, alla saggezza (qualunque essa sia), ma cercando di farlo in collettivo. Per questo non vi è altro modo per raggiungere il popolo, di cui siamo parte, che metterci a pensare con lui. Ciò significa arrivare al fondo di noi stessi. Come disse un poeta: non bisogna cantare per il popolo, /neanche in suo nome. / Quello che bisogna fare è arrivare / al popolo e cantare con esso. Cantare, creare o, nel nostro caso, pensare. L’atto del pensare e pensare come un popolo, come una comunità nazionale, diventa nel Venezuela bolivariano una politica di Stato. Che non ci siano verità lontane o, in una certa maniera, proibite. Che non ci siano limiti chiusi per specialisti. Non mantenere saggiamente protetti, neanche con le migliori intenzioni, i grandi temi, né i piccoli, che incidono sulla vita della nazione e della società. Abbiamo detto, con le parole del Presidente Hugo Chavez: viva il dibattito! Si tenta di costruire tutto il sistema di verità che è utile al perseguimento della felicità nel modo più alto possibile. Andando dialetticamente dalla prassi alla teoria e dalla teoria alla prassi più e più volte. Vivere intensamente e pensare all’esperienza, applicando nuovamente il pensiero all’azione per meglio incanalarla e ritornare nuovamente alla sintesi riflessiva. Ma tutto ciò, ripeto, cercando di realizzarlo nel collettivo. Così andiamo avanti. E questo è ciò che ci collega alla filosofia. Per questo motivo ci riconosciamo in essa. Al Ministero del Potere Popolare per la Cultura lavoriamo ogni giorno con l’idea che tutti noi siamo creativi. Nel campo del pensiero ciò significa: tutti siamo filosofi. Questa è l’intenzione profonda. Scommettere su risorse etiche e intellettuali che, come ogni paese, abbiamo in Venezuela per cercare di trasformarci in un popolo di filosofi (forse sarebbe  meglio dire: in un popolo filosofico). Ma non possiamo farlo da soli o isolati. In condizioni di estrema solitudine, saremmo obbligati ad avviare o riavviare una strada partendo da zero. E non è questo il caso in Venezuela. Ci riconosciamo in quanto umanità di cui noi siamo parte. Ci sono preziose esperienze in tutto il mondo, la vita e gli eventi che sono stati sintetizzati in esperienze di riflessione. Ora e sempre, non cominciamo con la carta bianca. Di conseguenza siamo eredi di lotte e di altri movimenti di trasformazione; lotte e movimenti di trasformazione con le quali individui e popoli e culture diverse hanno sviluppato una valutazione critica della società e hanno agito, o agiscono, in diversi luoghi del pianeta. Tutte queste esperienze le facciamo nostre.

Per questo motivo in Venezuela si svolgono appuntamenti internazionali con filosofi che vengono a unirsi a noi in esercizi democratici di pensare in collettivo. E non solo i filosofi propriamente detti, ma intellettuali di più discipline. Il secondo Congresso di Intellettuali e Artisti in Difesa dell’Umanità (il più grande che ha avuto luogo finora) con la partecipazione di più di trecentocinquanta ospiti internazionali dei cinque continenti, si è svolto in Venezuela nel dicembre 2004. Il primo ha avuto luogo in Messico un anno prima e altri sono seguiti da allora. Tale congresso, consolidatosi nella città di Caracas dove è stata situata la Segreteria della Rete di Intellettuali e Artisti in Difesa dell’Umanità, ha svolto un gran lavoro al servizio di questo tessuto creativo umanista. A ciò si aggiunge la presenza di poeti che arrivano da tutte le parti. A partire dal 2003 si sono svolte già sette edizioni del Festival Mondiale della Poesia in Venezuela, di enorme successo e che hanno raccolto folle di presenti.

I poeti portano la verità del loro universo soggettivo, i giornalisti le loro visioni, i registi la loro capacità creativa. E così molta gente partecipa a centinaia di riunioni. Di notevole rilievo il Foro Internazionale di Filosofia, istituito nel 2005 e che ha già concluso la sua quinta edizione. Questi Fori si sono rivelati uno strumento di grande importanza per la costruzione di un pensiero critico dal basso, dalle moltitudini secolarmente sfruttate o emarginate. Non solo per aver toccato temi cruciali, ma per il modo in cui questi Fori si sono realizzati: alternando tavoli di discussione tra specialisti con incontri aperti tra persone nei propri spazi di attività sociale e produttiva. Ogni anno, in questa speciale attività, i filosofi invitati percorrono il paese, partecipano a riunioni con le comunità di agricoltori, di operai e, in particolare, sono presenti nei grandi quartieri delle nostre città.

I Fori di Filosofia sono così uno spazio di unità nella lotta comune; in essi, nella società di classe che disgraziatamente esiste con la sua odiosa divisione del lavoro, prefiguriamo per alcune ore quella società egualitaria di pensatori che un giorno dovrebbe esistere.

In ognuna delle cinque edizioni di questi Fori, organizzate dalla prof.ssa Carmen Bohórquez che mi accompagna in questa attività, è stato preso come asse di riflessione un tema principale. Nell’ultima, realizzata quest’anno, il tema suggerito ha riguardato la storia come strumento di trasformazione.

Ciò ci lega ad un’altra idea primordiale in questo compito di costruire un pensiero dal basso, dalla prospettiva popolare. Quella di decifrare la storia, appunto, cercando le sue verità nascoste, per liberarla, per rimuovere le sue catene e fare di essa, dunque, un elemento innovativo della coscienza. Si costruisce così, nel nostro paese, con una nuova generazione di giovani storiografi, una storia che potremmo denominare di insurrezione, contro una storia conservatrice, statica. Perciò il governo bolivariano ha creato il Centro Nazionale di Storia.

Questa storia dell’insurrezione è un aspetto del pensiero insorto, critico che tanto apprezziamo nella rivoluzione bolivariana. Tanto lo apprezziamo che al fine di stimolarlo e trovare esempi e riferimenti utili di grande attualità, il Ministero del Potere Popolare per la Cultura ha creato, con un raduno di portata internazionale, il Premio Bolivariano per il Pensiero Critico che viene assegnato alla migliore opera pubblicata nel corso dell’anno; il premio consiste in 150.000 dollari e finora è andato a cinque grandi filosofi: Franz Hinkelammert, Bolivar Echevarría (recentemente deceduto), Renán Pianura Cantore, István Meszaros ed Enrique Dussel che l’ha appena ricevuto questo stesso anno.

Le loro opere sono diffuse con altre centinaia di diversi titoli ogni anno, attraverso una massiccia politica editoriale che raggiunge l’intero territorio. A tal scopo il Ministero ha creato la propria Stampa della Cultura, con la possibilità di pubblicare 20 milioni di libri e riviste all’anno; ha creato una casa editrice popolare che ogni anno esce con 600 titoli; ha istituito un sistema di 24 stampe regionali più piccole gestito in conformità con la Rete Nazionale degli Scrittori Socialisti e che possono pubblicare complessivamente 1200 titoli ogni anno; inoltre ha creato un grande Distributore Nazionale di Cultura che diffonde e valorizza libri e altri beni culturali, incluse 56 librerie del Sud, appartenenti al Ministero della Cultura. A ciò dobbiamo sommare una politica di distribuzione massiccia di libri in tutti i comuni che, tra gli altri titoli, ha curato un milione di copie del Don Chisciotte con prefazione di Saramago, mezzo milione di Les Misérables di Victor Hugo ed altre seicentomila copie delle lettere d’amore di Simón Bolívar e FNUAP Saenz, nonché 27 milioni di copie per una biblioteca di base tematica con 35 titoli scritti appositamente dai nostri scrittori più apprezzati su temi di interesse generale e che meritano una riflessione critica. Aggiungiamo a tutto ciò la Biblioteca dei Consigli Comunali che fino ad ora ha curato 25.000 collezioni di 100 titoli appositamente selezionati che servono alla creazione di una piccola biblioteca in ogni comunità organizzata.

Come si vede, tutto ciò conduce ad una sola cosa: a cercare di creare le condizioni affinché nel nostro paese possa avverarsi la trasformazione collettiva attraverso la trasformazione individuale, ma anche nel collettivo, in comunione delle coscienze. Così come fu un atto collettivo, una bella avventura per tutti, quella di bandire l’analfabetismo in Venezuela alfabetizzando un milione e mezzo di compatrioti in un anno e mezzo; così, in questo modo, cerchiamo di trasformarci in creatori, storiografi, politici, pensatori, filosofi; trasformarci tutti in artefici. Artefici di tempi nuovi.

Secondo Simón Rodríguez, maestro di Bolivar, “educare è creare volontà”. In questo atto stiamo educandoci per creare una ferma volontà di trasformazione basata sulla conoscenza e sulla coscienza di chi siamo e dove vogliamo arrivare.

Per terminare, voglio esprimere la mia gratitudine per questo Premio Internazionale di Filosofia che, assieme a Carmen Bohòrquez, mi viene conferito e che porta l’illustre nome di Karl-Otto Apel. Carmen Bohòrquez è filosofa nel senso classico del termine. Io non lo sono, salvo nei termini in cui ho cercato di spiegarlo. Tentativo il mio, insieme a milioni di venezuelane e venezuelani, di esercitare il mestiere di pensare insieme al popolo al quale appartengo, un pensare dal basso, per costruire vie comuni; entrambi Carmen Bohórquez ed io riceviamo questo premio come un riconoscimento ad un paese e ad un governo che cercano di portare avanti una rivoluzione pacifica mirando alla costruzione di un pensiero collettivo liberatore.

Molte grazie.

 

 Traduzione di Michele Borrelli

 
   

 

 

 

Francisco Sesto Novás durante il suo discorso in occasione del ricevimento del Premio Internazionale per la Filosofia Karl-Otto Apel - Quarta Edizione, 2010, accompagnato dalla traduzione di Michele Borrelli (Presidente del Centro Filosofico e del Premio "Karl-Otto Apel").

 

 

Francisco Sesto Novás e il filosofo-teologo Raúl Fornet-Betancourt (ordinario di Filosofia all’Università di Bremen e Aachen - Direttore del Dipartimento latino-americano dell’Istituto di Missiologia di Aachen, Germania).

 

 

Francisco Sesto Novás e Raúl Fornet-Betancourt

 

 

Francisco Sesto Novás mentre riceve il premio da Michele Borrelli (Presidente del Centro Filosofico e del Premio "Karl-Otto Apel").

 

 
Uno scorcio del pubblico
 

 

Francisco Sesto Novás durante un’intervista nell'ambito della cerimonia di premiazione.