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Un estratto (pp. 240-242) del saggio di Karl-Otto Apel: “Riflessione trascendentalpragmatica: le prospettive centrali di un’attuale trasformazione kantiana
Nell’applicazione dell’etica del discorso risulta a mio parere la
necessità di una mediazione del suo principio regolativo della comunità
comunicativa ideale con la realtà in due aspetti che corrispondono alle
estasi del tempo: passato e presente. Rispetto alla
prospettiva riferita al passato, l’etica del discorso in quanto
etica della responsabilità riferita alla storia deve sempre nuovamente
riportarsi alla situazione reale dello “spirito oggettivo”, nel senso di Hegel, come dire
essenzialmente alla situazione oggi già globale delle istituzioni
umane, così soprattutto ai sottosistemi sociali del diritto, della
politica e dell’economia e rapportarsi a se stessa in quanto istanza
normativo-critica. A questo punto diventa chiaro in che senso le
scienze sociali e spirituali critico-comprendenti possano e debbano
formare il ponte, da Kant non previsto, tra le scienze della natura
nomologiche esplicative e l’etica.
Rispetto al futuro,
però, la trasformazione dell’etica kantiana deve consistere soprattutto
nel fatto che l’esistenza, già supposta in Kant nel “regno dei fini”, di
una comunità comunicativa ideale, in cui possono essere risolti
tutti i problemi morali tramite la comprensione e la formazione del
consenso, deve essere sempre ancora il fine di realizzazione
approssimativa. Da questa necessità derivano, a mio parere, due
deviazioni rispetto a un’etica puramente deontica nel senso di
Kant.
Intanto nell’etica del discorso, in quanto etica della responsabilità
riferita alla storia, entra una dimensione teleologica come non è
prevista nell’odierna metaetica. Qui, infatti, non si tratta di
teleologia nel senso aristotelico di un’etica del vivere bene
individuale o social-collettivo o di autorealizzazione
esistenziale; piuttosto, nell’applicazione dell’etica del discorso
riferita alla realtà, il
fondamento di un’etica universale della giustizia ‒ già premesso
nella fondazione ultima dell’etica del discorso come nel “regno
dei fini” di Kant ‒ è al contempo lo scopo di realizzazione
approssimativa: uno scopo che – a differenza del progetto di una “buona
vita” determinante per me o per noi – è
universalmente vincolante. Col che ne consegue una ulteriore
deviazione dall’etica kantiana e da ogni altra etica riferita a un
principio ideale.
In
quanto etica della responsabilità riferita al contesto storico,
l’etica del discorso fondata trascendentalpragmaticamente deve, fin
dall’inizio, prevedere due
parti riferite all’applicazione. Essa può, da un lato, in riferimento
alle situazioni di applicazione in forma di dialogo – per esempio
rispetto al “pubblico”-mondiale “ragionante” (per servirmi nuovamente
della terminologia kantiana) – prevedere direttamente l’applicazione
del principio di formazione del consenso ideale come regola di
fondazione di norme riferite alla situazione e mediate attraverso esse
la soluzione di problemi morali. Dall’altro, l’etica del discorso in
quelle situazioni di applicazione nelle quali non si può contare su una
soluzione in forma dialogica di conflitti morali ‒
per esempio nei casi in cui una parte non
è disposta o è
incapace a collaborare alla soluzione consensuale di conflitti ‒ deve
legittimare anche l’uso di mezzi strategico-controstrategici. In
questo caso, che io ho distinto come parte B dalla parte A
dell’etica del discorso[1],
la strategia morale a lungo raggio della realizzazione
approssimativa delle condizioni in forma dialogica deve, però, essere
legata a tutte le azioni strategico-controstrategiche per
qualificarla moralmente e non solo in quanto strategica
(nel senso di una “teoria del gioco” moralmente neutrale “di decisioni
reciproche”).
La trasformazione dell’etica
kantiana, per ultima menzionata, mi ha indubbiamente allontanato molto da
Kant negli aspetti relativi al contenuto della possibile applicazione.
Ciò interessa soprattutto il problema della situatività di
un’etica da applicare in senso realistico e responsabile. Max Weber,
Jean-Paul Sartre, la “Teoria Critica” di provenienza francofortiana e
anche il “Principio di responsabilità” di Hans Jonas sono stati qui
sfide e ispirazione. Ma malgrado tutto non bisogna dimenticare che io
sono rimasto fedele alla domanda trascendental-riflessiva di
Kant. A tale riguardo, con
la fondazione ultima trascendentalpragmatica dei principi
normativi (di parte A e parte B ) dell’etica del discorso
credo, addirittura, di sostenere l’impulso centrale, oggi difficilmente
comprensibile, della filosofia kantiana.
[1] Cfr. K.-O. Apel, Diskurs und Verantwortung, op. cit., p. 142 sgg e p. 465 sgg; inoltre Idem, The response of Discourse Ethics, op. cit., p. 90 sgg. (La réponse de l’éthique de la discussion, op. cit., p. 122 sgg.). |
Il libro è una raccolta di saggi del filosofo tedesco non apparsi in traduzione italiana e in parte inediti la cui costellazione così come viene offerta al lettore esiste solo in versione italiana.
KARL-OTTO APEL
Cambiamento di
paradigma. La ricostruzione trascendentalermeneutica
della filosofia
moderna
Col suo progetto postmetafisico di
fondazione (ultima) di filosofia e scienza, Karl-Otto Apel si propone di
ripercorrere le impostazioni di Aristotele, Descartes, Vico e Husserl,
nonché della filosofia analitica e sviluppare un terzo paradigma
della philosophia prima, un paradigma della conoscenza non
più coscienzialistico o soggettivistico, ma intersoggettivo, che si basa
tanto sulla comunità argomentativa storica quanto sulla
comunità argomentativa ideale (illimitata). In questo suo tentativo
originale e unico di
ricostruzione/trasformazione trascendentalermeneutica della filosofia
moderna, Apel si avvale, tra l’altro,
della semiosi triadica (rappresentazione iconica,
rappresentazione indessicale e rappresentazione
simbolica) delineata da Peirce, per portarsi oltre
la semiosi diadica di Kant di una struttura conoscitiva solipsistica
(o trascendentalsolipsistica come quella teorizzata da Husserl)
concepita, cioè, ancora sulla relazione soggetto-oggetto della
conoscenza e recuperare, rispetto ai paradigmi tradizionali della
filosofia prima, non solo l’inaggirabile a priori o funzione
trascendentale del linguaggio, ma anche l’inaggirabile a priori
trascendentale della comunità argomentativa e, quindi,
l’intersoggettività come condizione di possibilità di ogni pretesa di
validità e di verità. Questa
ricostruzione-trasformazione postmetafisica della filosofia moderna su
basi trascendentalermeneutiche, ossia trascendentalsemiotiche, pone fine
già dall’inizio non solo alla distinzione-opposizione tra scienze dello
spiegare (della natura: sapere nomologico) e scienze del comprendere
(spirituali: sapere storico) in quanto i due a priori qui menzionati
(quello del linguaggio e quello della comunità argomentativa) sono
presupposti inaggirabili sia della conoscenza delle scienze naturali sia
della conoscenza delle scienze spirituali, ma offre anche, con la messa
in luce dei presupposti appunto inaggirabili del discorso, sulla linea
teoretica delle evidenze acquisite dall’ermeneutica (Heidegger/Gadamer),
la possibilità di portarsi postweberianamente - oltre gli
scetticismi-relativismi postmodernistici in generale o radicalizzati in
particolare, com’è il caso della detrascendentalizzazione di Derrida,
del contingentismo pragmaticistico di Rorty o del relativismo
linguistico di Wittgenstein - su un
piano postcartesiano, postkantiano e posthusserliano di fondazione
(ultima) di filosofia e scienza e, quindi, anche su un piano di
fondazione (ultima) della filosofia teoretica e pratica e, di
conseguenza, su un piano di fondazione (ultima) di norme, morale ed
etica.
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