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KARL-OTTO APEL

 

Un estratto (pp. 240-242) del saggio di Karl-Otto Apel: “Riflessione trascendentalpragmatica: le prospettive centrali di un’attuale trasformazione kantiana”, contenuto nel volume: Cambiamento di paradigma. La ricostruzione trascendentalermeneutica della filosofia moderna, a cura, traduzione e presentazione di Michele Borrelli (Pellegrini, Cosenza 2005).

Nell’applicazione dell’etica del discorso risulta a mio parere la necessità di una mediazione del suo principio regolativo della comunità comunicativa ideale con la realtà in due aspetti che corrispondono alle estasi del tempo: passato e presente. Rispetto alla prospettiva riferita al passato, l’etica del discorso in quanto etica della responsabilità riferita alla storia deve sempre nuovamente riportarsi alla situazione reale dello “spirito oggettivo”, nel senso di Hegel, come dire essenzialmente alla situazione oggi già globale delle istituzioni umane, così soprattutto ai sottosistemi sociali del diritto, della politica e dell’economia e rapportarsi a se stessa in quanto istanza normativo-critica. A questo punto diventa chiaro in che senso le scienze sociali e spirituali critico-comprendenti possano e debbano formare il ponte, da Kant non previsto, tra le scienze della natura nomologiche esplicative e l’etica.

Rispetto al futuro, però, la trasformazione dell’etica kantiana deve consistere soprattutto nel fatto che l’esistenza, già supposta in Kant nel “regno dei fini”, di una comunità comunicativa ideale, in cui possono essere risolti tutti i problemi morali tramite la comprensione e la formazione del consenso, deve essere sempre ancora il fine di realizzazione approssimativa. Da questa necessità derivano, a mio parere, due deviazioni rispetto a un’etica puramente deontica nel senso di Kant.

Intanto nell’etica del discorso, in quanto etica della responsabilità riferita alla storia, entra una dimensione teleologica come non è prevista nell’odierna metaetica. Qui, infatti, non si tratta di teleologia nel senso aristotelico di un’etica del vivere bene individuale o social-collettivo o di autorealizzazione esistenziale; piuttosto, nell’applicazione dell’etica del discorso riferita alla realtà, il fondamento di un’etica universale della giustizia ‒ già premesso nella fondazione ultima dell’etica del discorso come nel “regno dei fini” di Kant ‒ è al contempo lo scopo di realizzazione approssimativa: uno scopo che – a differenza del progetto di una “buona vita” determinante per me o per noi – è universalmente vincolante. Col che ne consegue una ulteriore deviazione dall’etica kantiana e da ogni altra etica riferita a un principio ideale.

In quanto etica della responsabilità riferita al contesto storico, l’etica del discorso fondata trascendentalpragmaticamente deve, fin dall’inizio, prevedere due parti riferite all’applicazione. Essa può, da un lato, in riferimento alle situazioni di applicazione in forma di dialogo – per esempio rispetto al “pubblico”-mondiale “ragionante” (per servirmi nuovamente della terminologia kantiana) – prevedere direttamente l’applicazione del principio di formazione del consenso ideale come regola di fondazione di norme riferite alla situazione e mediate attraverso esse la soluzione di problemi morali. Dall’altro, l’etica del discorso in quelle situazioni di applicazione nelle quali non si può contare su una soluzione in forma dialogica di conflitti morali ‒  per esempio nei casi in cui una parte non  è disposta o è incapace a collaborare alla soluzione consensuale di conflitti ‒ deve legittimare anche l’uso di mezzi strategico-controstrategici. In questo caso, che io ho distinto come parte B dalla parte A dell’etica del discorso[1], la strategia morale a lungo raggio della realizzazione approssimativa delle condizioni in forma dialogica deve, però, essere legata a tutte le azioni strategico-controstrategiche per qualificarla moralmente e non solo in quanto strategica (nel senso di una “teoria del gioco” moralmente neutrale “di decisioni reciproche”).

La trasformazione dell’etica kantiana, per ultima menzionata, mi ha indubbiamente allontanato molto da Kant negli aspetti relativi al contenuto della possibile applicazione. Ciò interessa soprattutto il problema della situatività di un’etica da applicare in senso realistico e responsabile. Max Weber, Jean-Paul Sartre, la “Teoria Critica” di provenienza francofortiana e anche il “Principio di responsabilità” di Hans Jonas sono stati qui sfide e ispirazione. Ma malgrado tutto non bisogna dimenticare che io sono rimasto fedele alla domanda trascendental-riflessiva di Kant. A tale riguardo, con la fondazione ultima trascendentalpragmatica dei principi normativi (di parte A e parte B ) dell’etica del discorso credo, addirittura, di sostenere l’impulso centrale, oggi difficilmente comprensibile, della filosofia kantiana.

 

 

[1] Cfr. K.-O. Apel, Diskurs und Verantwortung, op. cit., p. 142 sgg e p. 465 sgg; inoltre Idem, The response of Discourse Ethics, op. cit., p. 90 sgg. (La réponse de l’éthique de la discussion, op. cit., p. 122 sgg.).

     

 

Il libro è una raccolta di saggi del filosofo tedesco non apparsi in traduzione italiana e in parte inediti la cui costellazione così come viene offerta al lettore esiste solo in versione italiana.




KARL-OTTO APEL

Cambiamento di paradigma.

La ricostruzione trascendentalermeneutica

della filosofia moderna

 

Col suo progetto postmetafisico di fondazione (ultima) di filosofia e scienza, Karl-Otto Apel si propone di ripercorrere le impostazioni di Aristotele, Descartes, Vico e Husserl, nonché della filosofia analitica e sviluppare un terzo paradigma della philosophia prima, un paradigma della conoscenza non più coscienzialistico o soggettivistico, ma intersoggettivo, che si basa tanto sulla comunità argomentativa storica quanto sulla comunità argomentativa ideale (illimitata). In questo suo tentativo originale e unico di ricostruzione/trasformazione trascendentalermeneutica della filosofia moderna, Apel si avvale, tra l’altro, della semiosi triadica (rappresentazione iconica, rappresentazione indessicale e rappresentazione simbolica) delineata da Peirce, per portarsi oltre la semiosi diadica di Kant di una struttura conoscitiva solipsistica (o trascendentalsolipsistica come quella teorizzata da Husserl) concepita, cioè, ancora sulla relazione soggetto-oggetto della conoscenza e recuperare, rispetto ai paradigmi tradizionali della filosofia prima, non solo l’inaggirabile a priori o funzione trascendentale del linguaggio, ma anche l’inaggirabile a priori trascendentale della comunità argomentativa e, quindi, l’intersoggettività come condizione di possibilità di ogni pretesa di validità e di verità. Questa ricostruzione-trasformazione postmetafisica della filosofia moderna su basi trascendentalermeneutiche, ossia trascendentalsemiotiche, pone fine già dall’inizio non solo alla distinzione-opposizione tra scienze dello spiegare (della natura: sapere nomologico) e scienze del comprendere (spirituali: sapere storico) in quanto i due a priori qui menzionati (quello del linguaggio e quello della comunità argomentativa) sono presupposti inaggirabili sia della conoscenza delle scienze naturali sia della conoscenza delle scienze spirituali, ma offre anche, con la messa in luce dei presupposti appunto inaggirabili del discorso, sulla linea teoretica delle evidenze acquisite dall’ermeneutica (Heidegger/Gadamer), la possibilità di portarsi postweberianamente  - oltre gli scetticismi-relativismi postmodernistici in generale o radicalizzati in particolare, com’è il caso della detrascendentalizzazione di Derrida, del contingentismo pragmaticistico di Rorty o del relativismo linguistico di Wittgenstein - su un piano postcartesiano, postkantiano e posthusserliano di fondazione (ultima) di filosofia e scienza e, quindi, anche su un piano di fondazione (ultima) della filosofia teoretica e pratica e, di conseguenza, su un piano di fondazione (ultima) di norme, morale ed etica.